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Effetto domino 

2011-09-28 00:00:00.0000000

EFFETTO  DOMINO

(teniamoci stretti, si balla in un mare di costi finanziari in aumento e di carenza di liquidità)

 

In attesa che i governi, le banche,  gli organi di Vigilanza, quali la Bce e la Fed, i vari organismi internazionali quali FMI, le Agenzie di Rating, trovino la soluzione per uscire dalla profonda crisi mondiale di credibilità e di sostenibilità del “capitalismo finanziario”, il nostro ufficio ritiene comunque opportuno fornire delle indicazioni operative che riguardano il mercato finanziario nazionale e locale per meglio assistere le aziende in questa fase di incertezza assoluta.

 

Abbiamo capito che le banche e gli intermediari finanziari sono in difficoltà sia per la ridotta redditività (margini risicati e problemi di maggiori costi per il reperimento della liquidità) e che con effetto domino stanno, purtroppo, scaricando sulla clientela (aziende e famiglie) buona parte dei loro maggiori costi (attuali) ed inefficienze (passate e presenti).

 

Abbiamo verificato, dall’analisi degli estratti conto al 31.03.2011 e 30.06.2011, che non solo i tassi sui finanziamenti, di qualsiasi tipologia, sono cresciuti in media per tutta la clientela (sia per i clienti con rating soddisfacenti che per quelli con rating preoccupanti), ma anche il verificarsi di interventi  in aumento dei costi dei servizi e delle commissioni accessorie. In particolare pesa l’applicazione della così detta “commissione di accordato” (calcolata sugli affidamenti messi a disposizione), che molto spesso porta il costo del denaro a raggiungere vette  che superano il così detto limite dei tassi “usura” ( sino al 13-14% a fronte di tassi nominali in conto del  7-8%).

Le banche tentano di affrontare la ridotta redditività e la necessità di elevati accantonamenti per l’aumento dei crediti inesigibili spalmando sulla clientela oneri aggiuntivi e spread maggiori sui tassi applicati. Bisogna intervenire e negoziare tale condizione aggiuntiva, altrimenti sarà un costo stabile per l’indebitamento di ciascuna azienda.

 

Questo effetto domino avrà conseguenze pesanti sul conto economico di molte aziende, già in difficoltà a far quadrare il margine operativo, che non saranno in grado di trasferire sui prezzi, a loro volta, l’aumento del costo del ricorso al credito.

 

Attualmente la questione principale è quella dello spread di 380-400 punti base, pagati dal Tesoro italiano sui titoli di Stato per finanziarsi, rispetto al tasso offerto dal Bund tedesco, palla al piede del nostro Paese. Tale costo aggiuntivo da debito “sovrano” viene scaricato sul costo dell’indebitamento del  “sistema Italia”,  in maniera ancora attenuata da parte delle banche per quanto riguarda i tassi per il credito a breve termine (c/c, smobilizzo crediti), mentre per i finanziamenti a medio e lungo termine (sia chirografi che ipotecari) l’aggravio di costo è molto più pesante. Attualmente i finanziamenti rateali, con spread negoziati a luglio su una base di più 2,40/2,70 rispetto all’Euribor di riferimento (un mese- tre mesi etc.),  pagano spread dell’ordine del 3,50-3,80. Senza contare, e questo è l’aspetto più preoccupante, che le delibere per l’ottenimento dei finanziamenti si sono fatte sempre più complicate ed i tempi di risposta si sono dilatati. Anche le operazioni di leasing, che non siano di limitato importo e riferite solo a beni strumentali, seguono lo stesso destino: attualmente una operazione di leasing immobiliare viene ostacolata e, se accettata e deliberata a fronte solamente di clienti di rating soddisfacente, si applicano spread dell’ordine del 3,50-3,80% sull’Euribor, un peso a 18 anni molto preoccupante a nostro avviso.  

 

Noi crediamo che le banche siano in una fase di crisi di liquidità, molto simile a quella che ci ha visto lottare nel corso del 2008, ma allora era una crisi che toccava in prevalenza le banche stesse con tassi in salita vertiginosa (dal 3% prima dell’estate al 6-7% dopo l’estate 2008) ed in una fase transitoria, si sperava, di ristagno economico e di carenza di ordini. Allora il sistema bancario non faceva mancare il credito, mentre attualmente si notano difficoltà reali ad ottenere finanziamenti, situazione che può toccare nel vivo l’equilibrio e la sopravvivenza a volte delle aziende.  

Bisogna prevedere e programmare per tempo qualsiasi intervento di natura finanziaria straordinario e operare nel credito a breve termine con adeguata riserva di fido.

 

Non è un caso che quasi tutte le banche siano tornate ad offrire tassi tra il 3 ed il 4% l’anno per depositi in c/c, a condizione che i clienti tengano somme in deposito per 1 o 2 anni. Sono conti a vista, a interessi appetibili garantiti, a patto che il cliente scelga di immobilizzare disponibilità per uno o due anni. Sono partite per prime le banche on-line (conto Arancio, Che Banca etc.), ma ultimamente anche le banche tradizionali si sono attivate in tal senso.

Con tali offerte gli istituti di credito si propongono di intercettare flussi di risparmio, che si spera in uscita dal risparmio investito, in fondi comuni. Infatti dal primo gennaio 2012 i c/c ed i “conti di deposito” avranno il vantaggio fiscale della ritenuta che passerà dal 27 al 20%, allineandosi a quella del risparmio gestito, che salirà invece dal 12,50% al 20% appunto. I conti bancari non scontano inoltre l’imposta di bollo sul portafoglio titoli, infine i conti correnti bancari, compresi quelli di deposito, sono protetti dal fondo di garanzia  che copre i risparmi fino a circa  100.000 € dal rischio di insolvenza della banca. Sono a tutti gli effetti sempre depositi a vista, possono godere di maggiori interessi, a patto come anzidetto che il cliente scelga di immobilizzare gli importi per uno o due anni, col vantaggio però che può prelevare le somme a vista in caso di improvvise necessità, perdendo solo il vantaggio di interessi maggiorati.

 

Si tratta probabilmente di una operazione finanziariamente a saldo zero, in quanto toglierà disponibilità ai Fondi Comuni di Investimento, e la farà rientrare in banca, ma il sistema finanziario non vedrà crescere la liquidità complessiva, mentre le banche  pagheranno di più i fondi ottenuti e perderanno le commissioni  di intermediazione percepite direttamente o indirettamente  sulle disponibilità defluite dai Fondi Comuni. Tuttavia l’operazione sarà meno traumatica di quella di dover ricorrere alla Bce per rifinanziarsi, dichiarando pericolosamente lo stato di tensione finanziaria, pericolo che le banche del “sistema bancario” italiano preferiscono non correre visto le turbolenze in atto sui mercati e le quotazioni a prezzi di saldo delle loro azioni.

Il risultato finale sarà in ogni caso l’aggravio del costo del denaro per imprese e famiglie come sopra preannunciato, fino a quando l’attuale crisi finanziaria globale e nazionale non sarà risolta. 

 

In ogni caso, anche in tale situazione di difficoltà e di incertezza, bisogna non lasciarsi andare al fatalismo e all’accettazione dei maggiori pesi che vengono scaricati sul conto economico delle aziende debitrici, ma reagire gestendo con attenzione la posizione finanziaria e negoziando con giusta insistenza le relative condizioni.