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FACCIAMO IL PUNTO 

2020-12-21 00:00:00.0000000

FACCIAMO IL PUNTO

A fine anno avremo perso l’11% circa del nostro reddito. L’anno prossimo Banca d’Italia prevede che ci sarà un rimbalzo, ma purtroppo torneremo al livello pre-pandemia solo a fine 2023. Tradotto in numeri ci sarà comunque un aumento della disoccupazione nel 2021 dal 10 al 12%, più famiglie sotto la soglia di povertà e più disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Dal lato delle imprese grossa sofferenza nel commercio e servizi per carenza di domanda, mentre la manifattura si riprenderà meglio grazie alle esportazioni.

Bisogna tener presente che nel corso del 2020 molte famiglie hanno resistito ponendo mano ai risparmi e tante piccole imprese hanno resistito indebitandosi ulteriormente grazie anche alle garanzie Statali, ma potranno resistere altri tre anni?

Lo Stato per concedere ristori e agevolazioni varie si è indebitato facendo crescere il deficit a 180 miliardi, aumento sostenuto dalla Bce che quest’anno ha acquistato ben 225 miliardi di titoli pubblici italiani. Tuttavia ci chiediamo per quanto tempo un Paese può fronteggiare le perdite di reddito stampando moneta? Certo fra un anno arriveranno 209 miliardi della Ue, risorse irripetibili ma che sarebbero sufficienti per resistere un anno senza creare nuovo deficit e nel frattempo la Bce cesserà ad acquistare la totalità nostri titoli, incominciando un progressivo sganciamento e allora i mercati finanziari come reagiranno? Facile prevedere un ritorno all’aumento dello spread sul Bund tedesco, cioè ritornerà lo spettro delle restrizioni sulla spesa pubblica per tentare di contenere il deficit.

Allora occorre stimolare la crescita, l’unica via d’uscita da questo cul de sac, attuando tre politiche di stimolo, come scrive il noto economista Francesco Giavazzi in un articolo del Corriere della Sera di domenica 20 Dicembre.

Primo stimolo: va fatto bloccando la decrescita demografica e gestendo al meglio l’aumento dell’invecchiamento della popolazione. La Banca d’Italia prevede una progressiva contrazione della popolazione lavorativa e un suo aumento dell’età media. Verificato che senza investimenti ma anche senza lavoro non si cresce, urgono politiche che facilitino il lavoro femminile (asili nido, servizi alla persona etc.), politiche migratorie lungimiranti e ben strutturate ed infine allungamento della vita lavorativa. Tutti provvedimenti costosi e impopolari per certi versi ma indispensabili per ristrutturare la nostra economia.

Secondo stimolo: più attenzione alla produttività. Cosa freni la produttività del paese Italia è noto ma prendere provvedimenti in merito costa l’impopolarità per la classe politica dirigente, qualunque sia al governo. Le statistiche mostrano che le imprese medio-grandi hanno raggiunto una produttività, soprattutto nel settore manifatturiero, comparabile se non superiore alle imprese tedesche o francesi. Il deficit di produttività si annida fra le imprese piccole e la pubblica amministrazione. Le imprese piccole si basano in gran parte sul modello famiglia-banca, si indebitano e sono tendenzialmente restie all’apporto di nuovi capitali, all’introduzione di manager esterni e al cambiamento informatico. L’industria 4.0 può generare dei cambiamenti che non bastano se le imprese non aumenteranno la loro dimensione, cominceranno a sostituire i debiti bancari con apporti di capitali aprendosi a nuovi investitori esterni, e dopo aver fatto rete non cominceranno un inevitabile processo di aggregazione.

Nelle imprese pubbliche la produttività è frenata dalla politica che distorce gli obiettivi e condiziona le scelte dei manager. L’illusione che lo stato imprenditore possa fare efficienza è una idea in circolazione che negli ultimi anni di crisi ha preso piede. In realtà lo stato consuma risorse a volte in una supplenza di scelte più dolorose che toccano l’occupazione e che vengono prese per rispondere alle richieste di assistenza di alcuni territori disagiati, scelte che potrebbero essere meglio soddisfatte con altri strumenti quali incentivi alle ristrutturazioni di imprese e settori in crisi, cig, prepensionamenti, riqualificazione e indirizzo della manodopera.

Terzo stimolo: la revisione della Pubblica Amministrazione. La produttività del Paese dipende anche da circa 3,5 milioni di dipendenti pubblici, in parte con la pandemia in smart-working e sempre pronti a scioperare se mansioni, indirizzi di lavoro e localizzazione vengono cambiati. Fra questi la giustizia e la scuola sono due fronti fra i più bisognosi di riforme. La giustizia affidando i tribunali a manager con l’obiettivo di informatizzarla e ridurre drasticamente i tempi delle sentenze. La scuola aumentando le ore di studio e di presenza in aula, nonostante le difficoltà presenti a causa della pandemia. Il capitale umano è fondamentale per lo sviluppo di un paese, va preservato e vanno aumentate le opportunità culturali dei nostri giovani, altrimenti nel giro di pochi anni il differenziale con gli altri paesi europei e più sviluppati nel mondo aumenterà con effetti negativi sul versante dello sviluppo e della produttività dell’intero Paese. Il progetto di tenere le scuole aperte anche al pomeriggio, facendole diventare la casa dello studente e luogo di aggregazione e riqualificazione dei lavoratori disoccupati, costa in termini di risorse e di organizzazione, tuttavia i fondi ottenibili dal Recovery Plan (definito Next Generation UE) se investiti nelle scuole in via prioritaria sarebbero impiegati al meglio.

Quindi zone di ombra ma pure possibilità positive di recupero dell’economia e del benessere per tutta la popolazione italiana, qualora assieme al vaccino, la politica, oltre a far debiti per contenere la crisi nell’immediato, sappia indirizzare bene e con chiarezza cittadini e imprese nei prossimi tre anni.