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L’Italia nonostante la modesta crescita attuale rimane un paese ricco ed avanzato 

 (Il rischio però è un declino storico a lungo termine)


L’Italia nonostante non cresca in modo soddisfacente da molti anni e sia considerata il fanalino di coda dell’Ue, è secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, riferiti al 2018, l’ottava potenza globale per Pil e decima per interscambio con l’estero: 2.000 miliardi di dollari di produzione, avanzo di 50 miliardi di dollari delle partite correnti.
Un successo economico conquistato dal dopoguerra ai giorni nostri, che nonostante la crisi congiunturale recente mai del tutto superata, continua grazie a molte imprese di successo, dinamiche e capaci di competere ad armi pari con i concorrenti globali superando ostacoli posti dal costo dell’energia, del lavoro, del peso del fisco e dei laccioli burocratici. La loro presenza a macchia di leopardo ha consentito lo sviluppo dei distretti e delle aree di eccellenza che hanno trascinato con effetto domino positivo migliaia di Pmi operanti a monte o a valle e tutto il mondo dei servizi a loro connesso. Quindi grazie all’export l’economia interna ha tenuto nel tempo, imitando in questo la Germania ed anzi appoggiandosi al suo traino per molte realtà, in particolare nel settore dell’automotive.
Purtroppo i problemi insoluti da decenni del rallentamento dello sviluppo e dell’eccesso dell’indebitamento dello Stato, resi più acuti e urgenti con la crisi recessiva, stanno facendo scivolare all’indietro lentamente e inesorabilmente il paese dalle posizioni conquistate, quasi si vivesse ancora di rendita sui successi del passato.
I nostri problemi nascono già negli anni 70, con l’inizio del fenomeno del rimpicciolimento delle imprese e del loro nascondimento. La politica, il fisco, i sindacati, l’opinione pubblica, sono stati poco attenti all’importanza della dimensione dell’impresa ed anzi hanno magnificato il concetto di “piccolo è bello”.
Rimanere piccoli è utile ad avere flessibilità, resistere alla crisi giocando in difesa, ma non permette di rischiare e cercare lo sviluppo strutturale anziché episodico.
La storia di questi ultimi decenni ha dimostrato che le imprese piccole sono meno adatte a competere sui mercati e a sostenere i costi dell’innovazione tecnologica.
Infatti dagli anni ’90 l’Italia comincia a perdere posizioni nell’innovazione, brevetti, efficienza e produttività, tutti passaggi che invece nei paesi avanzati e perfino in quelli emergenti vedono in prima fila grandi imprese e governi a sostegno.
Attualmente, sia a livello di opinione pubblica che di governo, tiene banco il bilancio e i suoi effetti sullo sviluppo del Pil e sul peso dell’indebitamento complessivo del paese.
Certo una manovra espansiva può aiutare l’economia a uscire da una fase di temporanea difficoltà o recessione, ma non può tuttavia spostarla sul binario ad alta velocità come sarebbe necessario per tenere il passo coi paesi più veloci ed emergenti.
Occorrerebbero segnali forti per gli imprenditori italiani ed esteri per spronarli ad investire di più accettando la sfida nel paese Italia, sgravando gli investimenti da minor peso fiscale e incentivando massicciamente quelli innovativi e tecnologicamente all’avanguardia.
Il grosso dello sforzo dovrebbe nel contempo riguardare le norme e le regole del gioco nei mercati e nei rapporti con le istituzioni nazionali e locali, per le quali paradossalmente non ci sarebbe assorbimento di capitale finanziario, ma che la politica fa fatica ad affrontare .
L’ambiente economico italiano è soffocato da un reticolo anti competitivo che favorisce la rendita, da quella di posizione a quella finanziaria. Viene scoraggiato chi rischia e non viene favorito chi ha idee, non viene premiato il merito e sono finanziate a fatica le start up innovative.
Chiunque abbia idee e energie rivolte alla crescita viene scoraggiato ed il sistema bancario-finanziario, in profonda crisi di trasformazione, al di là delle buone intenzioni espresse nei media e nei convegni, fatica a finanziare questa parte dell’economia che nei paesi a più alto sviluppo economico ottiene appoggi inimmaginabili per l’Italia.
Dovremmo pertanto aspettarci governi che ritornino a visioni di lungo periodo e che mettano in atto una politica industriale rivolta in prevalenza allo sviluppo, fondato sulla preminenza delle imprese che creano ricchezza non solo per loro, e gli operatori economici che ci ruotano attorno, ma pure per tutto il paese.