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DOLLARO ANOMALO-  

2021-02-23 00:00:00.0000000

DOLLARO ANOMALO- SEGNALI DI INSTABILITA’ VALUTARIA E IN PROSPETTIVA DI INIZIO DI AUMENTO DEI TASSI.

Negli ultimi anni tre eventi hanno condizionato la storia degli Usa e del pianeta:

l’11 settembre, la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020 con relativa crisi economica.

Una differenza macroscopica che non viene sufficientemente discussa fra le tre crisi è l’andamento del dollaro che dopo l’11 settembre si rivalutò del 5%, dopo il fallimento di Lehman Brother salì del 13%, mentre questa volta si svaluta di circa l’11%.

Durante le prime due crisi, nonostante avessero avuto inizio negli Usa, gli investitori internazionali cercavano sicurezza e stabilità investendo proprio nel biglietto verde nella convinzione che il dollaro fosse comunque moneta di riserva e di rifugio stabile nel tempo.

Questa volta è stato diverso, molti hanno cercato di proteggersi vendendo dollari. Come mai? Non è una domanda da poco perché potrebbe essere l’indizio che gli Usa non possono più permettersi di indebitarsi con meno limiti di tutto il resto del mondo. Dalla risoluzione di questo interrogativo dipendono l’export di primattori mondiali nella produzione, come la Germania, il Giappone, La Corea del Sud e l’Italia ovviamente.

La minore centralità del Dollaro potrebbe essere condizionata dal diffondersi delle monete virtuali (bitcoin) e dalla aggressiva espansione finanziaria della Cina con la sua volontà di imporre come riserva mondiale in concorrenza col Dollaro la propria moneta. Ricordiamo come questa Nazione, insondabile per avere un regime politico autarchico e di fatto il controllo della comunicazione, detenga una quota importante del debito pubblico Usa e ne possa condizionare la politica monetaria.

Eppure i condizionamenti esterni non bastano a chiarire quale sarà nel futuro a medio termine la politica monetaria e finanziaria Usa e i suoi riflessi globali, in particolare ora con la presa del potere da parte dei Democratici con il Presidente Biden.

Nel breve termine è da escludere che la fiducia nel dollaro stia venendo meno. Nonostante la quota del debito pubblico Usa sia salita al 40% del Pil prima della crisi finanziaria del 2008, al 100% nell’anno della Pandemia e il rendimento dei titoli Usa a 10 anni sia del 1,29% contro un’inflazione del 1,4%, la fiducia nella capacità degli Usa di far fronte ai propri impegni finanziari internazionali è intatta per la generalità degli investitori internazionali. D’altra parte in Europa, esclusa l’Italia e i paesi indebitati, vedono gli investitori internazionali ancor più perplessi a fronte di rendimenti perfino negativi.

Di solito l’inizio dei cambiamenti in America produce poi a cascata effetti globali. I tassi a breve sono attualmente ancor più bassi di quelli a 10 anni e questa situazione sta ad indicare secondo alcuni analisti che le banche Usa chiedono agli investitori impegnati nell’azionario di reintegrare le loro garanzie nelle operazioni di borsa, cioè temono un rialzo dei tassi e lo scoppio della bolla a Wall Street, salita in continuazione negli ultimi anni. Resta però da spiegare l’impennata dei rendimenti a dieci anni, determinata secondo gli stessi dall’annuncio di un pacchetto di stimoli di circa 1.900 miliardi di dollari da parte della nuova amministrazione Biden che si sta aggiungendo al pacchetto di 900 miliardi firmato da Trump prima di Natale.

L’insieme di questi due stimoli arriva al 14% del Pil Usa, un’enormità , mentre la Ue col suo Recovery Fund arriva a stento ad un terzo.

L’approccio alla crisi pandemica e quindi economica è diverso fra le due sponde dell’Atlantico.

Mentre la Ue con il Recovery Fund progetta di uscire dalla crisi puntando sullo sviluppo sostenibile, sulla digitalizzazione dell’economia pubblica e privata, sull’efficienza energetica e produttiva e sulle riforme politiche per rendere più competitivi i paesi Ue, gli Usa invece immettono una montagna di liquidità nell’economia senza un progetto organico e senza grandi condizionamenti sia per le banche che per i grandi gruppi ed in particolare per quelli della comunicazione. Sembra un piano di breve termine rivolto soprattutto a compensare le attività e le classi sociali colpite dalla pandemia nell’immediato. Questo approccio liberista e fondato sugli aggiustamenti che il mercato può portare rischia invece, non risolvendo le contraddizioni già presenti prima della pandemia, di alimentare negli anni il divario fra chi vedrà un aumento di profitti a danno dei consumatori, qualora la liquidità serva ai grandi gruppi per aumentare le proprie dimensioni e la propria influenza senza effetti positivi fra il ceto medio .

Questo rischio può generare inflazione e instabilità, una moneta non più stabile come in passato e in assenza di un modello di sviluppo armonico, un ritorno all’instabilità sociale dato dall’aumento delle diseguaglianze generando ancora quella rabbia dei ceti medio bassi che ha portato a suo tempo al populismo in Usa e di conseguenza al potere Trump. Il tutto in presenza di un l’atteggiamento aggressivo della Cina che intende imporre la propria moneta come valuta di riserva nei paesi con cui direttamente o indirettamente fa accordi commerciali e politici, mentre gli Usa con Biden, tornati a una politica multilaterale, cercheranno di limitare lo straripante allargamento dell’influenza economico-finanziara cinese.

Questi segnali di instabilità consigliano allora agli operatori economici di mediare i rischi sia dal lato degli investimenti in valuta, che nel gestire le importazione/esportazioni e inducono a pensare per tempo di finanziarsi in parte a tassi fissi mai così bassi come in questo periodo al fine di ridurre il rischio di una volatilità verso l’alto dei tassi variabili.