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Continua la piaga del ritardo negli incassi o degli insoluti difficili da recuperare 

2019-04-17 00:00:00.0000000

Continua la piaga del ritardo negli incassi o degli insoluti difficili da recuperare

Per pagare o morire, secondo il proverbio c’è sempre tempo. In Italia in molti bilanci si fa finta che gli incassi scorrano regolarmente, si tengono i crediti in partita e l’equilibrio dei conti si ottiene osservando regole e accantonamenti, ma se l’equilibrio formale viene osservato quello reale è un’altra cosa.

Nei giorni scorsi la società di Crif che elabora informazioni commerciali, ha diffuso i dati sui pagamenti fra privati (aziende e consumatori) del primo trimestre 2019.

Le aziende con ritardo sulla scadenza di meno di 30 giorni sono aumentate del 6%. Nel contempo il tasso di puntualità (35.3%) è ai minimi degli ultimi 3 anni. Il peggioramento dei termini di pagamento reali è la spia della difficoltà di alcune imprese, una ricaduta del rallentamento dell’attività produttiva e commerciale. Tuttavia scavando a fondo negli anni ci si accorge che il difetto di pagare in ritardo è in realtà strutturale, qualche volta sfiorando il malcostume e la concorrenza sleale.

La leva di pagare sistematicamente in ritardo si è nel tempo trasformata in uno strumento di gestione della tesoreria e di quadratura dei bilanci, un’azione che sacrifica i fornitori e i creditori con minore capacità negoziale.

Il rispetto dei pagamenti in altri paesi è sinonimo di serietà e affidabilità ed incide sul prestigio dell’azienda e del marchio in particolare.

Il ritardo disinvolto in Italia invece suscita spesso comprensione se non ammirazione, con atteggiamento sui mercati di norma asimmetrico. Se un’azienda ha bisogno assoluto di un fornitore allora paga con la massima puntualità, ma quando non è più così, allora preferisce farsi sollecitare. Non essendoci alcuna sanzione talvolta il direttore finanziario viene addirittura premiato per i costi del ricorso al credito bancario che riesce a risparmiare. Il dirigente abile a sfruttare al massimo il proprio potere negoziale nei confronti dei fornitori torchiandoli per migliorare il circolante è tenuto in massima considerazione. Se ciò provoca come effetto collaterale qualche problema nelle consegne o nella qualità del prodotto, il più delle volte l’inconveniente non viene contabilizzato.

Di norma le piccole e medie imprese pagano meglio delle grandi:  quest’ultime hanno procedure ineccepibili in apparenza, ma nella pratica trovano mille scappatoie per procedere con pratiche dilatorie nei pagamenti.

Questo comportamento incide sulla competitività delle Pmi, coinvolte da uno a tre punti di minor margine, cosa non da poco specie in comparti concorrenziali a bassa marginalità ed in presenza di un sistema bancario che alza i tassi e commissioni ad ogni accenno di incassi irregolari per il peggioramento registrato nel rating.

D’altra parte in una nazione dove lo stato e la pubblica amministrazione non danno il buon esempio, essendo in genere da sempre cattivi pagatori, non si può pretendere che questo andazzo venga superato dal rispetto delle regole .

Prendiamo come esempio il rapporto tra l’industria di marca e la grande distribuzione. Dal 2012 è stato introdotto l’obbligo del pagamento per il solo settore alimentare a 30 giorni per i prodotti deperibili e a 60 giorni per gli altri. I ritardi sui dati 2017 si sono ridotti , passando da 25 a 12 giorni.

 Nel settore non alimentare, dove non esiste tale obbligo di legge i ritardi sono passati da 30 giorni a 15, con un effetto di trascinamento. Tuttavia 12 o 15 giorni di ritardo in media, statistica da valutare con la logica del pollo di Trilussa, sono ancora troppi e tutti a carico delle pmi che alla fine fanno da banche alle grandi imprese e alla Gdo.