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Dazi, l’ultimo colpo alla lunga corsa americana? 

2018-07-25 00:00:00.0000000

Dazi, l’ultimo colpo alla lunga corsa americana?

Enigma che nessuno nel mondo politico italiano ha notato, eppure da come verrà sciolto nel prossimo anno potrebbero dipendere le sorti dell’economia italiana ed europea. Sta infatti accadendo qualcosa di singolare ed inquietante nei mercati finanziari, parzialmente celato dalla crescita robusta ottenuta anche grazie ai tagli alle tasse di Trump.

Il Pil reale degli Usa nel 2018 crescerà del 2,9%, il tasso di disoccupazione in giugno si è attestato al 4%, livello fra i più bassi della recente storia americana, ma nonostante ciò le maggiori “boutique” finanziarie (Pmco, Schroeders, Wells Fargo) stanno mettendo in guardia la Casa Bianca. Si iniziano a rilevare segni che lascerebbero intravedere una possibile recessione verso la fine del prossimo anno.

L’enigma maggiore sta nella differenza tra i rendimenti dei titoli del Tesoro Usa in scadenza tra due anni e quelli in scadenza fra 10. I primi solitamente riflettono i tassi di interesse ufficiali fissati dalla Federal Reserve e una valutazione del mercato sull’ andamento attuale dell’economia. I rendimenti dei titoli a dieci anni invece sono maggiormente influenzati da ciò che gli investitori pensano della dinamica economica in un futuro più lontano.

Se molti di loro si aspettano una forte ripresa e dunque un’inflazione maggiore, chiederanno rendimenti più elevati per preservare il valore reale degli investimenti, e viceversa. Motivo per cui una curva dei rendimenti nei titoli di stato ascendente viene interpretata come indicatore di continua espansione.

Ma è vero anche l’opposto, ossia che una curva dei rendimenti piatta o discendente può indicare recessione o forte rallentamento in arrivo. Ed è proprio questo il dubbio che sorge guardando l’evoluzione dei titoli del Tesoro Usa. Quando la curva si inverte e diventa discendente, perché i titoli a due anni rendono di più di quelli a dieci, una recessione arriva dopo 9-12 mesi. Sette delle ultime otto recessioni americane dal 1960 in poi sono state precedute proprio dall’inversione della curva dei rendimenti, e solo in un caso il fenomeno non ha prodotto una caduta nel Pil ad un anno di distanza.

Varrebbe la pena prestare attenzione ai Treasuries americani, i cui rendimenti, a due e dieci anni, ormai si equivalgono.

Si tratta dunque di capire se le guerre commerciali stiano avvicinando una recessione e in che misura sia corretto preoccuparsi.

L’ex presidente della Federal Reserve Ben Bernanke dà una lettura benigna del fenomeno: egli ritiene che nonostante la Fed abbia interrotto il quantitative easing e cominciato ad alzare i tassi, non ci sia una probabile caduta del fatturato e spiega il fenomeno dei tassi invertiti con le distorsioni dovute all’eccessiva liquidità tuttora immessa nei mercati dalle banche centrali dell’area Euro e del Giappone.

C’è da sperare che abbia ragione almeno questa volta, anche se quando la curva s’invertì nel 2006 sostenne che non era un segno premonitore ed invece sappiamo come è andata a finire. A 10 anni dal collasso della Lehman Brothers altri illustri policymaker come Tim Geithner e Paul Volker affermano di temere che l’economia americana non possa crescere in eterno.

Donald Trump intanto studia come evitare la maledizione dei repubblicani, che dalla seconda guerra mondiale in poi vede ogni esecutivo repubblicano come testimone di una recessione economica: da Eisenhower a Nixon per finire con Bush Junior. Per questo ultimamente Trump invita la Fed a rallentare o abbandonare l’aumento dei tassi. Sarà sicuramente una forzatura di fronte ad un’istituzione indipendente, ma se avesse un seme di verità ?

Stiamo a vedere. Intanto cresce l’incertezza sui mercati.